Si scrive Mussolini ma si legge...

Si potrebbe pensare che di Benito Mussolini, ormai, si sia già detto e scritto tutto. Eppure, stante l’importanza, negativa quanto si vuole ma innegabile, che il personaggio ha avuto nella nostra storia, il campo degli studi non manca di offrire nuovi elementi di conoscenza su aspetti scarsamente indagati, quali, ad esempio, tratti del carattere e della personalità o particolari biografici apparentemente secondari e che hanno invece condizionato molte delle scelte del futuro dittatore. Altrettanto si può dire a proposito degli studi sull’ambiente in cui è avvenuta la prima formazione politica di Mussolini, un ambiente particolare quanto a caratteristiche sociali, vista l’importanza che vi avevano l’appartenenza e l’impegno politico, e dal quale il nostro ha ricavato una sorta di imprinting che lo accompagnerà fino alla fine.
Questo lavoro di scavo in terreni altrimenti poco indagati, è il merito maggiore dell’interessante libro di Paolo Cortesi (Quando Mussolini non era fascista. Dal socialismo rivoluzionario alla svolta autoritaria: storia della formazione politica di un dittatore, Roma, Newton Compton, 2008), nel quale l’autore, profondo e appassionato conoscitore della sua terra, la Romagna, ricostruisce, con prosa scorrevole e convincente, gli anni della cosiddetta “formazione politica di un dittatore”, evidenziando la profonda influenza che la “romagnolità” ebbe sia sulle iniziali scelte politiche del “duce del fascismo” sia, in un secondo momento, sulla sua involuzione autoritaria e dittatoriale.
Il libro parte, infatti, dalla ricostruzione dell’ambiente famigliare di Predappio, quando il padre Alessandro, pur sinceramente legato alla moglie Rosa, donna profondamente religiosa, impartisce al figlio, da buon socialista, un’educazione sovversiva e fieramente anticlericale. E difatti Benito Amilcare Arnaldo (così registrato all’anagrafe, si sa, in onore del rivoluzionario messicano Benito Juarez, di Amilcare Cipriani e dell’eretico Arnaldo da Brescia) succhia col vino, abbondantemente versato in osteria nelle serate di accese discussioni con il coltello sul tavolo, le idee del vecchio fabbro internazionalista. Che anche se è passato al socialismo legalitario non manca di farsi notare, come ricorderanno i colleghi di un tempo, per passionalità e impegno militante.

È un ambiente sanguigno e privo di sfumature quello in cui cresce Mussolini, come sanguigno e privo di sfumature sarà tutto il suo percorso politico, sempre improntato, al di là della contraddittorietà dei comportamenti, alla gratificazione del proprio ipertrofico e incoercibile ego. Estremista spigoloso quando guidava le schiere massimaliste del socialismo, estremista ispirato quando passò all’interventismo (anche se qui il suo estremismo era alimentato dall’oro largamente elargitogli dai francesi per convincerlo a “tradire”), estremista brutale come duce dei fascisti, quando non volle mitigare la violenza assassina delle squadracce, estremista paranoico quando cacciò l’Italia in una lunga serie di tragiche imprese guerresche, incoscientemente affrontate con la prosopopea tipica del “patacca”. Di chi, in sostanza, racconta balle colossali (in questo caso sulla ridicola preparazione bellica e sul presunto spirito guerresco degli italiani) con la pretesa non solo di essere creduto, ma pure di essere ammirato. Insomma, un uomo costantemente sopra le righe, incapace di assumere atteggiamenti che non fossero determinati dal bisogno di compiacere e compiacersi. Non credo sia una forzatura richiamare alla mente un altro personaggio oggi altrettanto invadente, fasullo e deciso a piacere a tutti e a tutti i costi. Evidentemente la storia d’Italia non può fare a meno, periodicamente, di affidarsi ad imbonitori abili e spregiudicati ma falsi e ingannevoli come i miracoli della madonna di Lourdes.
Ecco, forse l’aspetto più interessante del lavoro di Cortesi sta nell’avere mostrato come la prosopopea mussoliniana non sia stata una conseguenza delle dinamiche politiche o una forzatura necessitata da chissà quali superiori interessi della patria, ma piuttosto un tratto caratteriale dovuto alla formazione e all’educazione ricevuta in Romagna. Una prosopopea inevitabile per un personaggio che, come acutamente ha scritto Torquato Nanni, amico di gioventù e primo biografo, non poteva non essere “uomo di parte”, uomo violentemente di parte: “Mussolini neutrale sarebbe come dire il sole a mezzanotte. Neutrale mai, in modo assoluto”. E lo dimostra tutta la sua biografia, non solo quella più nota, che va dal 1915 al 1945, ma anche quella precedente, quando Mussolini non sta dalla parte sbagliata, ma dalla parte dei lavoratori e degli umili, delle “plebi oppresse”, come si diceva allora. Quella puntigliosamente ricostruita da Cortesi e che prefigura, nei suoi aspetti iniziali, gli aspetti successivi della personalità di Mussolini: cultura dell’eccesso, una cultura di un impasto ricorrente in Romagna, dove le passioni, soprattutto quelle politiche, si dovevano esprimere come “passioni”, in questo caso alimentate dalla radicalità di un socialismo non ancora inquinato da tendenze riformiste e governative.
L’agiografia mussoliniana, così come la damnatio memoriae che ne è seguita, non hanno mai affrontato come si sarebbe dovuto questi tratti, la prima ritenendoli non nobilitanti del percorso politico e umano del “duce”, la seconda perché una lettura materialista attenta quasi solamente alle cause economiche delle dinamiche sociali non poteva attardarsi a considerare con attenzione anche gli aspetti psicologici ed emozionali con i quali si determinano gli avvenimenti storici. Se si eccettuano gli innovativi studi di Berneri sulla psicologia di Mussolini, le lacune storiografiche sono ancora numerose.
Il libro di Cortesi viene così a fornire un strumento di conoscenza per capire più a fondo come sia stato possibile che un personaggio così negativo, anche se con tratti indubbiamente geniali, possa avere goduto di tanto credito. E come sia possibile che ancora oggi uno che dovrebbe essere trattato da squallido imbonitore, quando si mette in politica buttando alle ortiche ogni scrupolo morale, riesca ad avere un seguito così plebiscitario e così pericoloso. Interrogarsi sul passato, come sempre, serve per comprendere il presente. E questo presente, ingombro di personaggi roboanti e strepitanti, ha davvero bisogno di essere indagato con più attenzione e senso critico. Il libro di Cortesi, pur guardando ad un passato apparentemente lontano, indaga anche il presente. E questo non è certamente poco.

Massimo Ortalli

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